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La mononucleosi è una patologia infettiva di origine virale che deve il suo nome alla presenza nel sangue di un alto tasso di cellule mononucleate che fanno parte dei globuli bianchi.
La sua trasmissione avviene per mezzo della saliva, e per questa ragione viene denominata anche malattia del bacio.
Questa infezione può essere trasmessa anche attraverso bicchieri usati e condivisi da più persone o per mezzo di droplets, piccole gocce di saliva che si disperdono nell’aria con uno starnuto o un colpo di tosse.
La mononucleosi è causata dal virus di Epstein-Barr (EBV), virus riconducibile alla famiglia Herpesvirus. Le stime indicano come nove soggetti su dieci, su scala mondiale, entrino in contatto con questo virus durante i primi anni di vita, durante l’adolescenza o nella vita propriamente adulta.
Il quadro sintomatologico della mononucleosi prescinde l’età del soggetto. A variare è la severità: maggiore è l’età, maggiore la possibilità che i sintomi si manifestino in modo importante.
I primi sintomi emergono dopo un periodo di incubazione che arriva al mese durante l’età pediatrica e può essere di 45 giorni nei soggetti di età più avanzata. Solitamente i primi sintomi della mononucleosi sono piuttosto simili ai sintomi influenzali e possono essere:
La fase acuta della malattia può determinare ulteriori sintomi, tra i quali si possono indicare:
Tra gli ultimi sintomi può esserci l’ittero, ovvero la pelle che presenta una colorazione grigiastra, per via del coinvolgimento del fegato.
Tra le possibili complicanze della mononucleosi vi è la rottura della milza: pur trattandosi di una circostanza rara, questa eventualità va presa in debita considerazione, poiché rappresenta un'urgenza medica potenzialmente fatale che richiede un pronto intervento ospedaliero.
Altre complicazioni rare includono:
In rari casi, l’Epstein-Barr può contribuire alla comparsa di alcuni tumori, come il linfoma di Burkitt e neoplasie del naso e della gola. Si è ipotizzato infatti che determinati geni virali possano alterare il ciclo di crescita delle cellule infette favorendone l'evoluzione in tumore.
Contrariamente a quanto si credeva, invece, l’EBV non provoca la sindrome da stanchezza cronica.
La mononucleosi è una malattia moderatamente contagiosa, specialmente tra gli adolescenti e i giovani adulti. Le possibilità di infettarsi sono maggiori in presenza di difese immunitarie indebolite, per esempio a causa di intenso stress o di una malattia debilitante.
La contagiosità può perdurare per un lungo periodo, poiché, dopo l'insorgenza della malattia, il virus rimane nell'organismo allo stato latente. Durante le fasi di riattivazione del virus, i portatori sani possono diventare dunque veicoli di contagio per altri soggetti, ma non possono contrarre nuovamente la malattia venendo in contatto con persone affette da mononucleosi.
I sintomi durano per un massimo di due settimane. La spossatezza può invece persistere anche per mesi.
La diagnosi di mononucleosi si basa sul dosaggio di diverse classi di anticorpi prodotti dal sistema immunitario in presenza del virus che determina questa infezione.
Nel dettaglio, questi anticorpi sono in grado di intercettare l’Epstein-Barr per mezzo di differenti antigeni presenti nel virus. In base alla fase dell’infezione, la concentrazione di questi anticorpi può aumentare o diminuire. I valori più alti si attestano nel contesto dell’infezione primaria.
Questi test ematici forniscono quindi informazione su stadio ed evoluzione della malattia. Gli anticorpi sono:
Può essere prescritto anche il monotest, un test rapido la cui funzione è ricercare gli anticorpi eterofili, prodotti dal sistema immunitario come risposta alla esposizione all’Epstein Barr Virus. È un esame meno specifico rispetto agli esami ematici, ma ha comunque una buona sensibilità.
Ci sono poi diversi valori ematici utili a fornire informazioni diagnostiche, come quelli relativi alla concentrazione ematica di globuli bianchi. In un contesto di infezione si verifica una linfocitosi, ovvero un aumento di linfociti, che contestualmente mostrano una morfologia anomala.
Dato anche il possibile coinvolgimento del fegato, è possibile che siano svolti i dosaggi di transaminasi e bilirubina, la cui alta concentrazione indica un danno al fegato.
Non c’è una terapia medica specifica per la mononucleosi: gli antivirali non hanno dimostrato efficacia per la risoluzione della infezione, né la replicazione dell’Epstein Barr viene impedita.
Viene richiesto di osservare il riposo, nello stadio iniziale della malattia. Nella fase acuta è possibile la somministrazione di antidolorifici e corticosteroidi, sotto prescrizione medica. L’attività fisica va evitata almeno per un mese, specie in caso di sport di contatto e di sollevamento pesi, per via del rischio di rottura della milza.
Nei casi di febbre e di dolori si può ricorrere al paracetamolo e agli antinfiammatori non steroidei (FANS).
Dal momento che la mononucleosi rappresenta una patologia virale, non hanno invece utilità alcuna gli antibiotici, che rischiano invece di gravare ulteriormente sul sistema immunitario.
Questa infezione non è pericolosa, e la sua fase acuta tende a passare nel giro di 2, 3 settimane. La mononucleosi nei bambini può causare la comparsa di sintomi lievi e di breve durata, può quindi risolversi con decorso paucisintomatico.
La prevenzione di questa infezione è un obiettivo particolarmente complesso; meglio quindi ragionare in termini di riduzione della probabilità di contrarre la mononucleosi. La strategia migliore è evitare l’uso promiscuo di oggetti che potrebbero veicolare il virus, in contesto familiare, nei ristoranti o nelle mense.
In caso di insorgenza di sintomi riconducibili alla mononucleosi, è consigliato l’isolamento, così da evitare la diffusione del virus.
Quanto tempo si deve stare a casa con la mononucleosi? Il riposo assoluto è consigliato soprattutto nelle fasi iniziali, durante la prima o le prime due settimane, così da scongiurare l’ipotesi di complicanze a carico di fegato e milza. L'attività può in seguito aumentare, ma sempre avendo cura di evitare sforzi fisici considerevoli per almeno un mese.
Una buona igiene personale e una corretta alimentazione completano la giusta prassi da seguire.