Esami Santagostino Lab
Prezzo al Santagostino: 14,46€
Referto pronto in 7 giorni lavorativi
La glucosio 6 fosfato deidrogenasi (G6pd) è un enzima che si trova in tutte le cellule ed è responsabile della produzione energetica. La G6pd è anche deputata alla protezione delle cellule dai prodotti dei processi metabolici e dai loro possibili effetti tossici. Tra le cellule in cui questo enzima è presente ci sono anche i globuli rossi. In presenza di un deficit di G6pd, di conseguenza, può aumentare il rischio di emolisi - ossia il processo di distruzione dei globuli rossi - in quanto questi diventano più suscettibili a danni di tipo ossidativo. Il deficit di glucosio 6 fosfato deidrogenasi è conosciuto anche come favismo. Questa patologia, che può comportare una crisi emolitica, è di tipo ereditario ed è uno dei deficit enzimatici più frequenti al mondo in quanto riguarda 400 milioni di persone a livello globale. La causa va ricercata nella mutazione del gene G6pd che si manifesta tipicamente con una ridotta funzionalità del suo enzima.
La crisi emolitica o emolisi acuta è una condizione determinata dalla distruzione dei globuli rossi che può manifestarsi con febbre, brividi e dolore a livello della regione lombare. Nelle forme più severe di crisi, il paziente può accusare anche altri sintomi come ittero e un ingrossamento della milza.
L’esame per la G6pd è un test che serve a misurare l’attività di questo enzima e a identificarne un eventuale deficit che può comportare una serie di conseguenze cliniche.
Ad un esito positivo delle analisi, dovrebbe fare seguito un esame quantitativo per misurare l’esatta quantità di questo enzima.
Il dosaggio dell’enzima G6pd può essere richiesto tipicamente a individui che hanno manifestano sintomi associabili all’anemia quali:
Questo esame può essere prescritto anche in caso di ittero, ossia una condizione che si manifesta con una colorazione gialla della cute e della sclera (la parte bianca dell’occhio).
Solitamente, i pazienti che manifestano questi sintomi presentano valori alterati anche in altri esami di laboratorio come la bilirubina, la cui concentrazione aumenta, così come quella dell’emoglobina nelle urine. Al contrario, si registra una riduzione nel numero di globuli rossi a fronte di un incremento dei globuli rossi immaturi, detti reticolociti.
Ci sono, poi, alcune circostanze e condizioni cliniche del paziente che sconsigliano di effettuare il test e suggeriscono, invece, di rinviarlo.
Ad esempio, l’esame andrebbe prescritto solo una volta risolta la fase acuta della patologia ed è sconsigliato nel corso di una crisi emolitica. La ragione sta nel fatto che in queste condizioni sono visibili solo i globuli rossi più giovani, caratterizzati da un’alta attività di G6pd, in quanto quelli più vecchi, con carenza dell’enzima, vengono distrutti. Ecco perché è necessario attendere qualche settimana, il tempo necessario ai globuli rossi per maturare.
La misura della G6pd può essere richiesta anche:
Il test può anche essere ripetuto nel caso in cui sia necessario avere una conferma del quadro clinico emerso in seguito alla prima misurazione.
Per effettuare la misurazione dell’enzima della G6pd è sufficiente il prelievo di un campione di sangue venoso. Nei neonati, invece, basta una goccia ematica prelevata tramite la puntura di un tallone.
Generalmente non c’è una preparazione specifica da seguire per l’esecuzione di questo test. Tuttavia, come anticipato, è preferibile rimandare l’esame a distanza di alcune settimane dalla risoluzione eventuali manifestazioni sintomatologiche acute.
L’interpretazione dei risultati di questo test dipende da una molteplicità di fattori differenti: dalla popolazione di riferimento, all’età dei soggetti, passando per il sesso.
Per quanto riguarda l’età, ad esempio, i valori fisiologici di G6pd nei neonati sono più elevati rispetto a quelli degli adulti.
Tendenzialmente, la probabilità che un paziente manifesti disturbi a fronte di un’esposizione a fattori che causano stress ossidativo è tanto maggiore quanto più bassi sono i livelli di attività dell’enzima G6pd.
Siccome, poi, il gene di questo enzima è collocato solo sul cromosoma X, è possibile escludere un suo deficit nei soggetti di sesso maschile che abbiano livelli di attività della G6pd nella norma.
Il discorso è differente, invece, per quanto riguarda la popolazione femminile, che presenta due cromosomi X. Per questa ragione, a fronte di livelli nella norma di G6pd, non è possibile escludere un deficit enzimatico che riguardi almeno uno dei due cromosomi e l’eventualità che la persona esaminata ne sia una portatrice sana.
Come abbiamo anticipato, le mutazioni che comportano un deficit di G6pd sono collocate sul cromosoma X. Le varianti del deficit sono oltre 440. Siccome la popolazione maschile presenta un’unica copia del cromosoma X, il gene mutato comporterà lo sviluppo della malattia.
Diversamente, le donne, avendo due cromosomi X, risultano nella maggior parte dei casi portatrici sane e asintomatiche, in presenza di una mutazione di un solo gene. Sono rari i casi in cui la donna, che può trasmettere il gene mutato alla prole maschile, possieda due geni con mutazioni ed esprima il deficit in modo conclamato.
Le donne, nel caso siano portatrici eterozigote, ossia abbiano il gene mutato solo in uno dei due cromosomi X, hanno una possibilità su due di trasmettere il deficit ai figli. Le donne omozigoti, invece, ossia quelle che presentano la mutazione in entrambi i cromosomi X, trasmetteranno il deficit a tutta la prole.
La principale strategia per il trattamento del deficit di G6pd consiste nelle cure di supporto nel corso delle fasi acute delle crisi emolitiche. Si può comunque intervenire preventivamente eliminando i fattori scatenanti che, come abbiamo visto, possono essere farmaci o altre sostanze tra cui, appunto, le fave.
Solo in rari casi, infine, si rendono necessarie le trasfusioni di sangue.