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Il test dell’Hiv è l’esame che consente di rilevare l’infezione che causa la sindrome da immunodeficienza acquisita (Aids). Sono due le tipologie di virus che determinano questa malattia:
La tempestività della diagnosi è fondamentale per ritardare la progressione della patologia e ed evitare che l’infezione venga diffusa in altri soggetti. Tra le donne in gravidanza, consente di sottoporsi precocemente a trattamenti terapeutici proteggendo il nascituro e abbassando le probabilità di un’infezione prenatale.
Vediamo allora in che cosa consiste il test, quando e perché può essere richiesto e come interpretare i risultati.
Lo scopo principale di questo test è quello di accertare il fatto che il paziente abbia contratto il virus dell’Hiv. I casi in cui possono essere richieste queste analisi sono:
Inoltre, ai soggetti di età compresa tra i 13 e i 64 è consigliato di sottoporsi al test dell’Hiv almeno una volta nella vita.
Anche se non rientrano tra i soggetti considerati a rischio per lo sviluppo dell’Aids, dovrebbero effettuare il test anche:
Il campione di sangue necessario per il test può essere prelevato dalla vena di un braccio o attraverso la puntura di un dito. In alternativa, si può eseguire il test anche su un campione di saliva prelevato dal materiale organico presente sulle gengive (questa opzione non viene eseguita nelle nostre strutture).
Ad alcune settimane di distanza dall’infezione, il virus dell’Hiv comincia a infettare i linfociti T e a replicarsi all’interno dell’organismo.
In questa fase, le concentrazioni delle particelle virali e dell’antigene del virus (p24) nel sangue possono risultare elevate.
I test che rilevano l’antigene p24 possono identificare l’infezione da Hiv anche prima che si sviluppino anticorpi anti-Hiv, nella prime settimane dall’esposizione.
Le analisi che, invece, individuano la presenza di anticorpi specifici sono in grado di rilevare l’infezione dalle due alle otto settimane successive all’esposizione al virus.
In un primo momento, l’infezione da Hiv può risultare asintomatica o comportare sintomi simili a quelli dell’influenza, che scompaiono nell’arco di massimo due settimane. In questa fase, il test dell’Hiv è l’unico modo per accertare l’effettiva esposizione al virus.
Una diagnosi precoce è fondamentale per limitare lo sviluppo della malattia che, progredendo, indebolisce il sistema immunitario, diminuendo la capacità dell’organismo di contrastare le infezioni. Si tratta delle cosiddette infezioni opportunistiche, che colpiscono soggetti immunodepressi.
La diagnosi di infezione da Hiv è possibile attraverso:
Tutti i test disponibili per la ricerca di anticorpi anti-Hiv rilevano la presenza del virus di tipo 1, mentre sono molti meno quelli in grado di identificare anche la tipologia 2. Questi esami possono essere condotti sia su campioni di sangue sia su campioni di saliva e rilevano l’infezione dalle tre alle 12 settimane successiva all’esposizione al virus.
Se il test viene condotto troppo precocemente, il rischio è quello di risultare negativi nonostante la presenza del virus.
Nel caso in cui, invece, il risultato del test sia positivo, è comunque necessario effettuare un secondo esame (di solito un test sierologico che sia diverso dal primo) che lo accerti.
Qualora i risultati siano discordanti, viene condotto un terzo test specifico per il materiale genetico del virus, chiamato Hiv-Rna, che può rilevare l’infezione da una a quattro settimane dal contagio. Solo se anche questo terzo test risulta positivo, l’esito è considerato diagnostico.
Per normativa vigente, indipendentemente dall’esito, questo referto non è disponibile sul Dossier Clinico digitale. Il referto può essere ritirato solo di persona in una sede Santagostino e non è consentito delegare nessun'altra persona. In caso di esito dubbio o positivo sarà di supporto il personale sanitario del Santagostino