Il linfoma di Burkitt è un tumore che viene definito "non Hodgkin" per distinguerlo da un'altra categoria di neoplasie localizzate nei linfonodi
Che cosa sono i linfomi
I tumori chiamati linfomi sono delle neoplasie, che si originano dai linfociti, le cellule deputate alla produzione di anticorpi e a regolazioni fondamentali per il nostro sistema immunitario.
Solitamente i linfomi si localizzano lungo il sistema linfatico e nei linfonodi.
I linfociti da cui si originano i linfomi, possono essere di due tipi, linfociti B deputati alla produzione di anticorpi contro batteri e virus, e linfociti T deputati a varie regolazioni fisiologiche fondamentali nel funzionamento del sistema immunitario.
Tutti i linfomi che si originano dai linfociti B si definiscono linfomi non-Hodgkin.
Il linfoma di Burkitt, conosciuto anche con la denominazione di linfoma diffuso a piccole cellule non separate, è un linfoma non-Hodgkin, piuttosto aggressivo, che si infiltra molto velocemente e che può colpire varie zone dell’organismo:
- apparato scheletrico del viso, specialmente mascella e ossa del viso
- intestino (ad es. valvola ileocecale, con possibili ostruzioni, peritoneo)
- reni
- parte dell’apparato riproduttivo femminile (ovaie)
- altri organi del corpo
Epidemiologicamente colpisce i soggetti di sesso maschile più frequentemente di quelli di sesso femminile (in particolare i bambini e giovani adulti), la popolazione di razza caucasica più facilmente di altre razze ed è associato ad altre condizioni, che ne determinano una ulteriore classificazione:
- linfoma sporadico, che colpisce prevalentemente soggetti in età infantile e adolescenziale
- linfoma legato all’immunodeficienza, che colpisce persone affette dal cosiddetto virus dell’immunodeficienza umana (HIV) o che presentano una ridotta vitalità immunitaria a seguito di un intervento chirurgico
- linfoma endemico, legato a infezioni malariche e al papilloma virus, associato a volte al virus Epstein-Barr, e la cui distribuzione geografica è maggiormente localizzata all’Equatore.
Si tratta di una patologia endemica nell’Africa Centrale (dove si presenta con ingrossamento della mascella e delle ossa facciali).
Linfoma di Burkitt, sintomi e segni
La sintomatologia del linfoma di Burkitt cambia leggermente a seconda della zona in cui si sviluppa la massa tumorale. La posizione di quest’ultima infatti può determinare ingrossamenti dell’area di incidenza del tumore con possibili ostruzioni, per esempio dell’intestino, che possono portare ad ulteriori complicazioni.
Una panoramica generale dei possibili sintomi include:
- rapido ingrossamento della zona sottomandibolare in prossimità del linfonodi
- ostruzione dell’intestino con insorgenza di gonfiore e dolore addominale
- ingrossamento delle zone ascellari (sempre in prossimità dei linfonodi ivi localizzati)
- nausea, vomito
- dolore al petto con difficoltà respiratorie
- stato di astenia generale (stanchezza) con debolezza muscolare
- perdita di peso improvvisa e non altrimenti spiegabile
- profusa sudorazione notturna
- febbre e a volte brividi
- mal di gola
- apatia.
Il rapido aumento di dimensioni della massa tumorale potrebbe poi, a seconda della zona di incidenza, causare altri sintomi legati ad altre aree limitrofe a quella in cui si è sviluppato il tumore e coinvolte dalla neoplasia (fegato, milza, midollo osseo).
Tra questi:
- dolore nelle zone di espansione (ovaie, testicoli, organi del sistema digerente ecc)
- difficoltà di coordinazione motoria e anche cognitive in caso di estensione al sistema nervoso centrale (midollo spinale, cervello)
- problemi di vista o udito, se la massa tumorale si estende a comprimere il nervo VII o facciale
- malessere generale crescente.
Quali sono le cause dei linfomi di Burkitt
La genesi dei tumori in generale presenta ancora alcuni elementi di incertezza. Se i meccanismi e i fattori di rischio, così come le correlazioni sono in molti casi ben note, mancano spesso spiegazioni convincenti sulle ragioni per cui l’organismo di fronte ad un certo stimolo reagisca con la proliferazione di cellule tumorali.
Il linfoma di Burkitt da un punto di vista fisiologico è essenzialmente la proliferazione dei linfociti B che di fatto interrompono il loro normale ciclo vitale che comporta che i linfociti, dopo un certo tempo, muoiano per lasciare il posto a quelli nuovi.
Con il linfoma di Burkitt questo non succede e le cellule vecchie non solo non muoiono, ma continuano a proliferare e si accumulano nei linfonodi, generando quella che poi diventa la massa tumorale.
Le associazioni con altre condizioni sono quelle già viste sopra e in particolare costituiscono fattore di rischio per questo tipo di linfoma:
- il virus Epstein-Barr (EBV)
- l’immunodeficienza congenita e acquisita, causata da HIV e altre patologie come la malaria
- immunodeficienza a seguito di alcune operazioni chirurgiche, come ad es. il trapianto di midollo osseo, per cui si necessita la somministrazione di terapie farmacologiche che potrebbero causare un abbassamento delle difese immunitarie
In molti casi il linfoma di Burkitt è comunque idiopatico, cioè insorge per cause sconosciute.
Come si diagnostica il linfoma di Burkitt
La diagnosi passa attraverso le tre fasi canoniche. La prima di queste è la raccolta dei dati anamnestici o anamnesi. Il medico parlando con il paziente chiede un resoconto di tutti i sintomi riscontrati, con riferimento alla loro insorgenza e alla loro natura.
Sempre in fase anamnestica si analizza lo storico del paziente, per individuare patologie pregresse che possano costituire un fattore di rischio, e la storia familiare, per escludere possibili fattori genetici.
La seconda fase diagnostica è l’esame obiettivo, cioè la visita vera e propria da parte del medico. Per prassi in questa fase si valutano alcuni parametri fondamentali. Possono venire inoltre fatti alcuni test neurologici, che permettono al medico di valutare eventuali problemi di coordinazione o cognitivi.
Nel caso del linfoma di Burkitt può essere notato già in sede di visita il rigonfiamento tipico di queste neoplasie, specialmente se localizzato in zona sottomandibolare, nei linfonodi, nel fegato e nella milza.
La diagnosi sulla presenza ed eventuale malignità del tumore può avvenire definitivamente solo con alcuni esami specifici.
Tra i più comuni:
Terapia e prognosi
Sia la terapia sia la prognosi dipendono in buona parte da alcuni fattori, quali l’età del paziente e la localizzazione della massa tumorale, così come la tempestività della diagnosi.
In generale, la chemioterapia intensiva dà ottime speranze di guarigione, ma deve essere protratta per alcuni mesi e iniziata in una fase in cui il tumore sia ancora di dimensioni ridotte. Può essere utilizzata la terapia con anticorpi monoclonali (ad es. Rituximab) e anche la “targeted therapy”. Può essere utilizzata anche la radioterapia.
La chemioterapia intensiva comporta diversi problemi collaterali, che possono pregiudicare in altri modi la salute e la qualità della vita del paziente. Per questo motivo, ad essa vanno abbinati accorgimenti e altre terapie farmacologiche che permettano al paziente di superare i cicli chemioterapici e riprendersi.
Una diagnosi non tempestiva, in cui il quadro clinico evidenzi la presenza di metastasi, lascia al medico solo opzioni terapeutiche sintomatiche, volte cioè a ridurre la sintomatologia causata dal tumore.
Poiché si tratta di una patologia complessa, va trattata in centri specializzati (in oncologia ed ematologia)