L'epatite D è un'infezione virale del fegato che può causare seri problemi di salute. È strettamente legata all'epatite B e si trasmette principalmente attraverso il sangue. Quali sono i sintomi e come prevenirla.
Cos’è l’epatite D?
L’epatite D, nota anche come epatite Delta, è un’infezione virale che colpisce il fegato e rappresenta una delle forme più severe di epatite.
La sua particolarità risiede nel fatto che il virus responsabile, l’HDV (Hepatitis Delta Virus), è un virus difettivo: non è in grado di replicarsi autonomamente e necessita della presenza del virus dell’epatite B (HBV) per potersi moltiplicare all’interno delle cellule epatiche. Questo significa che l’epatite D può colpire esclusivamente persone che hanno già contratto l’epatite B, sia in contemporanea (co-infezione) sia successivamente (super-infezione) [cit. 1].
A livello globale, l’epatite D è diffusa soprattutto in Africa, Medio Oriente, Europa orientale e America meridionale, ma può essere riscontrata ovunque [cit. 2]. È considerata una patologia insidiosa, poiché può aggravare in modo significativo i danni epatici già causati dall’epatite B, accelerando l’evoluzione della cirrosi epatica e aumentando il rischio di insufficienza epatica o tumore al fegato (epatocarcinoma).
Come si prende l'epatite D?
L’epatite D si trasmette principalmente attraverso il contatto con sangue infetto o altri fluidi corporei. Essendo legata alla presenza del virus dell’epatite B, il rischio di contrarre l’infezione aumenta notevolmente nei soggetti già colpiti da HBV.
Le principali vie di trasmissione includono [cit. 1] :
- Scambio di aghi e siringhe contaminati
- Rapporti sessuali non protetti con partner infetti, soprattutto in presenza di lesioni o microferite.
- Trasmissione materno-fetale, sebbene meno comune, può verificarsi quando una madre infetta trasmette il virus al neonato durante il parto.
- Trasfusioni di sangue effettuate prima degli anni ‘80. Oggi il rischio di contagio tramite questa via è estremamente ridotto grazie ai rigorosi controlli sanitari.
- Procedure mediche o estetiche non sicure, come tatuaggi, piercing o interventi odontoiatrici eseguiti con strumenti non adeguatamente sterilizzati.
La trasmissione verticale materno-fetale non è mai stata dismostrata, anche se viene ritenuta possibile [cit. 2].
Come si presentano i sintomi dell’epatite D?
I sintomi dell'epatite D possono differire significativamente da un soggetto all'altro. In alcuni casi l’infezione rimane asintomatica per lunghi periodi, mentre in altri può manifestarsi in forma acuta o cronica.
Quando i sintomi compaiono, generalmente lo fanno entro tre mesi dal contagio e possono includere:
- Ittero, accompagnato da urine scure e feci chiare.
- Affaticamento intenso e astenia (sensazione di debolezza persistente).
- Dolori muscolari e articolari simili a quelli di una sindrome influenzale.
- Dolore addominale localizzato nella parte superiore destra dell’addome, dovuto all’infiammazione del fegato.
- Nausea e perdita di appetito
- Prurito cutaneo, sintomo associato al malfunzionamento epatico e all’accumulo di sostanze tossiche nel sangue.
Nei casi più gravi, l’epatite D può evolvere in una forma fulminante, caratterizzata da una necrosi massiva del fegato e un rapido peggioramento delle condizioni del paziente, rendendo necessario un trapianto di fegato. [cit. 1]
Se l’infezione diventa cronica, il fegato può subire danni progressivi fino a sviluppare cirrosi epatica. Nei casi più avanzati e severi, può svilupparsi l’epatocarcinoma, il tumore primitivo del fegato. [cit. 1]
Come viene riconosciuta l’epatite D?
Poiché l’HDV colpisce chi ha già l’epatite B,il riconoscimento dell’infezione può risultare complesso. Una corretta diagnosi di epatite D si basa su una combinazione di esami clinici, test sierologici e indagini strumentali.
Il primo passo è una valutazione clinica da parte del medico che raccoglie informazioni sui sintomi e sulla storia del paziente per identificare possibili fattori di rischio. Per confermare l'infezione da HDV, sono necessari esami del sangue specifici [cit. 1], tra cui:
- Test sierologici per gli anticorpi anti-HDV: questi esami rilevano la presenza di anticorpi IgM e IgG contro il virus dell’epatite D (le IgM indicano un’infezione recente o in fase attiva, mentre le IgG segnalano un’esposizione pregressa).
- Ricerca dell’RNA del virus HDV: svolta per individuare il materiale genetico del virus, stabilendo se l’infezione sia attiva e determinando la carica virale.
- Dosaggio degli enzimi epatici (ALT, AST, GGT): livelli elevati di questi enzimi nel sangue indicano un danno epatico in corso.
- Test per l’epatite B (HBsAg e HBV-DNA): necessario per valutare il quadro clinico completo.
In presenza di un’infezione cronica, il medico può richiedere ulteriori esami strumentali [cit. 1] per verificare lo stato del fegato:
- Ecografia epatica
- Elastografia epatica (FibroScan®), un test non invasivo che misura la rigidità del fegato, permettendo di valutare il grado di fibrosi.
- Biopsia epatica, eseguita solo in casi selezionati, per ottenere un campione di tessuto epatico ed esaminare il livello di infiammazione e danno a livello cellulare.
Si guarisce dall’epatite D?
La possibilità di guarigione dall’epatite D dipende dalla forma in cui si manifesta l’infezione. Se la malattia viene contratta in concomitanza con l’epatite B acuta, c’è una buona probabilità che il sistema immunitario riesca a eliminare entrambi i virus nel giro di sei mesi. In caso di cronicizzazione, la gestione diventa invece più complessa ed è raro che si guarisca completamente.
Non esiste, infatti, ad oggi una cura definitiva per l’epatite D cronica. I trattamenti disponibili mirano a ridurre la replicazione virale e a rallentare la progressione della malattia epatica.
Le principali strategie terapeutiche includono:
- Interferone alfa pegilato: aiuta a ridurre la carica virale e a contenere il danno epatico.
- Terapie antivirali per l’epatite B, con farmaci come gli analoghi nucleosidici/nucleotidici (entecavir, tenofovir) che vengono impiegati per controllare l’infezione da HBV. Il loro impatto sul virus dell’epatite D è però limitato.
Recentemente, nuovi trattamenti in fase di studio hanno mostrato risultati promettenti nel contrastare l’epatite D, offrendo nuove speranze per terapie più efficaci in futuro.
Come fare prevenzione?
La prevenzione rimane l’arma più efficace contro l’epatite D: vaccinarsi contro l’epatite B è il metodo migliore per evitare il contagio, dato che il virus HDV non può sopravvivere senza HBV.
L'introduzione della vaccinazione anti epatite B ha permesso di passare da una prevalenza di epatite D del 24.6% nel 1983 fino ad una del 8% nel 1997. [cit 2]
Oltre alla vaccinazione, è fondamentale adottare comportamenti sicuri per ridurre il rischio di contagio. Ciò significa non condividere aghi o strumenti taglienti, prestare attenzione all'uso di materiali sterili e adottare precauzioni nei rapporti sessuali.
BIBLIOGRAFIA
- Negro F, Lok AS. Hepatitis D: A Review. JAMA. 2023 Dec 26;330(24):2376-2387. doi: 10.1001/jama.2023.23242. PMID: 37943548.
- Blaney H, Khalid M, Heller T, Koh C. Epidemiology, presentation, and therapeutic approaches for hepatitis D infections. Expert Rev Anti Infect Ther. 2023 Feb;21(2):127-142. doi: 10.1080/14787210.2023.2159379. Epub 2022 Dec 28. PMID: 36519386; PMCID: PMC9905306.