La frattura dell’anca, che può accadere ad ogni età, interessa solitamente la testa del femore e risulta particolarmente complessa e delicata se si verifica in un paziente anziano.
Cos’è una frattura dell’anca?
Quando si parla di frattura all’anca si usa un’espressione generica, dal momento che l’anca è un distretto anatomico complesso e composto da:
- una parte coxo-femorale
- la parte del bacino corrispondente
queste, nel loro insieme, formano appunto l’anca. Possiamo quindi distinguere la frattura del femore prossimale, e cioè del distretto più craniale del femore in toto, e la frattura dell’acetabolo. O, più ampiamente, dell’emibacino corrispondente.
Le fratture più comuni dell’anca sono:
- fratture laterali del collo femorale
- fratture mediali del collo femorale
- fratture diafisarie del femore
- fratture ischio-ileopubiche dell’emibacino
- fratture dell’acetabolo.
Tra queste tipologie di fratture, le più comuni sono:
- fratture pertrocanteriche, ricomprese tra le fratture laterali del femore
- fratture del collo femorale, che fanno parte delle fratture mediali del femore
- fratture delle branche ileo-ischiopubiche del bacino
- fratture dell’acetabolo, meno frequenti del bacino.
In che modo può fratturarsi l’anca?
Le persone anziane affette da osteoporosi, che riduce le capacità di resistenza dettata anche dalla forma stessa del collo femorale, si possono fratturare o per una caduta accidentale e trauma diretto sull’anca o, semplicemente, per meccanismi di torsione del femore, e conseguente frattura, a causa di un inciampo e caduta a terra.
Nel soggetto giovane, invece, sono più frequenti le fratture del collo del femore o della diafisi femorale. Si tratta di fratture che possono derivare da caduta con trauma diretto sull’anca, come le cadute dalla bicicletta o, per la diafisi femorale, per traumi ad alta energia: incidenti in auto, in moto, o ancora investimenti.
I soggetti più giovani, proprio per la tipologia di trauma ad alta energia, possono avere fratture multiple o interessamenti di vari distretti corporei. In queste circostanze si parla rispettivamente di pazienti polifratturati e di politrauma. Vanno anche indicate possibili compromissioni delle parti molli quali: cute, sottocute, muscoli, tendini, capsule, visceri.
Quali sintomi si manifestano se l’anca si frattura?
Tra i primi sintomi della frattura dell’anca si segnalano:
- l’incapacità del paziente di alzarsi - salvo rari casi in cui si verificano minime fratture ingranate del collo femorale
- un forte dolore ad ogni movimento dell’arto.
Tra le altre caratteristiche si possono indicare l’arto fratturato accorciato, rispetto al controlaterale, e la sua extrarotazione. Alle volte possono prodursi anche posizioni innaturali dell’arto. In qualsiasi caso si consiglia di allertare il 118 senza toccare il paziente, cercando solo di metterlo nella posizione più comoda in attesa del soccorso.
L’importante è l’allarme immediato, così che l’ambulanza possa arrivare nel punto dell’incidente, sia stradale che casalingo, senza intralci.
Come si fa a capire se c’è una frattura ad un’anca?
La diagnosi di frattura dell'anca può essere fatta attraverso una serie di esami e analisi. Tutto parte da un esame obiettivo. Il medico esamina il paziente e cerca di individuare eventuali segni come dolore, tumefazione, difficoltà di movimento e deformità dell’anca. Segue la radiodiagnostica:
- radiografia. È il principale esame diagnostico per una frattura dell’anca. Le radiografie dell’anca mostrano la posizione e il tipo di frattura
- tomografia computerizzata. In alcuni casi, la Tac può essere utilizzata per fornire immagini più dettagliate dell'anca e aiutare a determinare l’estensione della frattura
- risonanza magnetica. Può essere utilizzata per rilevare eventuali danni ai tessuti molli circostanti l'anca, come muscoli, tendini e legamenti o evidenziare piccole fratture difficilmente visibili a raggi o Tac e datarne il fatto.
Come si cura una frattura all’anca?
Gli interventi per la cura di una frattura all’anca dipendono dal tipo di frattura subìta dal paziente. Le diafisi femorali sono quasi obbligatoriamente chirurgiche, e richiedono l’adozione di chiodi endomidollari, placche con viti, e fissazione esterna.
Le fratture pertrocanteriche si trattano prevalentemente per via chirurgica, perché dolorose e con poche possibilità di gestione del paziente. Un trattamento conservativo è di difficile attuazione, siccome il paziente accusa molto dolore ad ogni minimo movimento. L’arto, inoltre, si presenta deviato all’esterno e la consolidazione, quando avviene, porta ad avere deformità permanenti, in tempi lunghi e con corrispondente sofferenza e allettamento del paziente.
L’intervento chirurgico quindi permette solitamente di ridurre e sintetizzare la frattura, con il beneficio del controllo del dolore, la possibile mobilizzazione precoce in poltrona e, in un secondo tempo, la ripresa di posizione eretta e deambulazione.
Trattamento delle fratture del collo femorale
Le fratture del collo femorale sono prevalentemente chirurgiche ma sono meno dolorose. In alcuni casi, fratture come queste in pazienti particolarmente anziani o con possibili complicanze gravi, non vengono operate e consolidano spontaneamente.
Grazie al fatto che sono intracapsulari, e talvolta stabili, dopo un’adeguata terapia analgesica permettono ai pazienti di essere messi in poltrona, evitando quindi le complicanze d’allettamento.
Le fratture del collo femorale che invece vengono operate comportano quasi sempre una sostituzione protesica che può essere:
- parziale, in questo caso si parla di endoprotesi
- totale, è il caso dell’artroprotesi.
Se il paziente è giovane, le fratture sottocapitate in valgo vengono trattate con sintesi chirurgica con viti e al massimo in 12 ore circa, così da fissare la frattura e dare modo ai vasi arteriosi che irrorano la testa di riassestarsi. Questo per mantenere la vascolarizzazione ed evitare necrosi successiva e quindi interventi protesici. Le fratture dell’acetabolo sono invece le più complesse da trattare chirurgicamente.
Una endoprotesi ha una durata nel tempo meno lunga di una artroprotesi totale. Quindi nei soggetti più giovani, con simili fratture non sintetizzabili con viti, si preferisce effettuare una artroprotesi totale invece di una endoprotesi. Nel paziente anziano si usano invece preferibilmente endoprotesi cementate, ovvero con un sistema di fissaggio immediato, per dare al paziente autonomia in tempi rapidissimi.
L’intervento di endoprotesi è molto più rapido e meno traumatico, e questo determina un beneficio enorme per il paziente anziano o molto anziano. Inoltre l’usura dell’acetabolo nativo è molto meno rapida, in quanto essendo di una certa età, il o la paziente userà la propria protesi in modo morigerato e quindi senza problemi a distanza.
Trattamento delle fratture ischio e ileo pubiche
Le fratture ischio e ileo pubiche invece sono fratture dolorose se caricate, e cioè se il paziente ci carica sopra, ma poco destabilizzanti sulla meccanica del bacino. Vengono pertanto trattate quasi sempre in modo conservativo con allettamento breve, analgesici e mobilizzazione in poltrona. I tempi di consolidazione possono variare e vanno dai 30 giorni ai 3 mesi con recupero della deambulazione completa.
Le fratture dell’acetabolo invece, anche in questo caso, sono molto più complesse e vanno dalle fratture parziali dello stesso, alle fratture con sfondamento dell’acetabolo e sono, tranne qualche caso in pazienti molto anziani o in grave deperimento organico, trattate chirurgicamente.
Quanto tempo ci vuole per guarire?
Nella maggior parte dei casi l’intervento chirurgico accorcia quasi sempre i tempi di guarigione e ripresa, affinché il paziente possa essere mobilizzato il prima possibile, specie se anziano. Le fratture del femore nel paziente in età geriatrica dovrebbero essere operate entro un massimo di 48 ore dal trauma. Questo è dovuto al fatto che il recupero è accelerato ed anche la deospedalizzazione incentivata. La stima verosimile in merito ai tempi di guarigione dipende, con tutta evidenza, dal singolo caso.
Il problema attuale rispetto alla rapidità di intervento è ultimamente complicato dalla frequente presenza nelle terapie domiciliari del paziente, anziano o meno, dall’assunzione di farmaci anticoagulanti di vario genere, che richiedono terapie contrastanti.
È altresì possibile attendere la semplice sospensione momentanea dell’anticoagulate e l’esaurimento del loro effetto, affinché il valore INR, valore che determina la coagulabilità del sangue, non torni nei range prestabiliti, evitando sanguinamenti intraoperatori e postoperatori non controllabili.
Fattori che incidono sui tempi di recupero
Il recupero poi dipende da molti altri fattori:
- condizioni generali fisiche del paziente al momento della frattura
- condizioni psichiche del soggetto fratturato
- perdite ematiche sopportate
- terapie collaterali cui il paziente è sottoposto
- età, anche se non è sempre un punto determinante.
Certamente lo scopo primario è eliminare il dolore, stabilizzare la frattura, evitare ulteriori sanguinamenti e anemie e togliere il paziente dall’allettamento quanto prima possibile. Nella terza o quarta età le cause di decesso nel primo anno dopo la frattura e l’intervento sono alte.
Il recupero poi è fondamentale, se coadiuvato da medici qualificati quali:
Vanno ricordati anche gli infermieri, essenziali nella gestione continuativa del paziente, i fisiochinesiterapisti che determinano la mobilizzazione, la ginnastica di recupero, che non si limita al solo ambito ortopedico, recuperando così la deambulazione, con girello, walker o bastoni canadesi, comunemente chiamati stampelle. In ambito gestionale si dice quindi che queste sono patologie multidisciplinari.